Negli anni Ottanta e Novanta i produttori di vino, quando andavi in visita da loro, non ti portavano tra i filari. Ma con Veronelli questa cattiva abitudine iniziò a cambiare. Lui “camminava la vigna“. E proprio lui il famoso filosofo, giornalista e scrittore iniziò a raccontare le aziende in maniera differente. Ora nelle strategie di wine-marketing – che siano per i social, per la divulgazione o per i blog – si parla tanto del racconto. Ma il racconto sul vino ha preso il via proprio da Luigi Veronelli e da mitici personaggi come lui.
E così finalmente qualcuno ha iniziato a dare meno importanza ai punteggi e ha incominciato a “cantare le storie” di produttori che di giorno in giorno lavorano nei vigneti per compiere la magia che porta il vino nei nostri calici.
E come dice Giancarlo Gariglio: “Veronelli non si può e non si potrà mai imitare, le sue vette sono irraggiungibili: da lui possiamo solo prendere spunto!”
Fatto sta che domenica 10 aprile 2022, la domenica del primo Vinitaly dopo lo stop dovuto ai 2 anni di pandemia, la magia è tornata con la degustazione di vini di vecchie annate, provenienti da diverse regioni d’Italia, organizzata da Fisar in Rosa: “Luigi Veronelli e i suoi tesori enologici”.
La Fisar ha potuto organizzare questo interessante evento grazie al lascito della famiglia Veronelli: 1500 bottiglie, autentici tesori enologici conservati nel tempo provenienti dalla sua leggendaria cantina, da utilizzare a scopo divulgativo e didattico.
Com’è andata la degustazione?
Dietro le quinte, prima dell’inizio dell’evento, i moderatori Luigi Terzago (presidente nazionale Fisar), Patrizia Loiola (consigliere nazionale responsabile della comunicazione Fisar), Giancarlo Gariglio (curatore della guida Slow Wine), Marta Ingegneri (miglior sommelier Fisar 2021) e Luisella Rubin (coordinatrice nazionale della Fisar in Rosa) hanno assaggiato tutte le vecchie annate per capire quanto fossero ancora “in forma”.
Chiaramente il tempo passa per tutti e a volte è impietoso, ma il bello di questa esperienza sono stati non tanto gli assaggi quanto il racconto e la memoria che hanno emozionato tutti i presenti in sala. Sicuramente Veronelli si sarebbe divertito molto a partecipare, a riscoprire questi suoi tesori; bottiglie a volte senza etichetta, confezionate appositamente per lui dai produttori, con gli appunti del maesto scritti a mano.
E ora una breve carrellata di quanto abbiamo ritrovato nel bicchiere dopo questo lungo tempo di affinamento in bottiglia tra le “sacre mura” delle storiche cantine veronelliane.
Merlot Collio 1987 azienda Castello di Spessa (Friuli Venezia Giulia)
Una bottiglia sicuramente preparata “ad hoc” per Veronelli dall’azienda: non c’è infatti l’etichetta commerciale. Il naso si presenta ancora interessante con sentori di frutta sotto spirito, sottobosco, corteccia, caffè, noci tostate. Al sorso il tannino non è quasi più percepibile, ma rimangono pressoché intatte l’acidità e la sapidità.
Brunello di Montalcino 1975 Fattoria dei Barbi (Toscana)
Un’azienda storica, un museo, che nel 1975 imbottigliava circa 20.000 bottiglie e ora è arrivata a 300.000. Una cantina che ha sempre avuto l’obiettivo di far durare a lungo i suoi vini. E questo 47enne dal color caramello, dalle note di legno laccato e di resina presenta ancora qualche spunto di piacevolezza con acidità e alcol tuttora presenti.
Rosso Montericco 1971 az. agr. Le Ragose (Veneto)
Dal vitigno corvina, da una vigna oggi riconosciuta come cru, un vino di 51 anni dal colore del caffè, con qualche nota speziata e di clorofilla e con un sorso che conserva un ricordo di morbidezza.
Nebbiolo d’Alba 1971 azienda agricola Renato Rabezzana (Piemonte)
Qui le memorie sono più confuse, la vigna potrebbe essere quella di Neive celebrata da Bruno Giacosa o anche una vigna del Roero, ma l’alone di mistero ci avvolge e quindi possiamo solo ipotizzare la provenienza delle uve. Spezie e note terziarie di caffè e castagne sono ancora percepibili all’esame olfattivo, al palato il tannino non è più presente, l’acidità è accennata e con lei sicuramente la parte emozionale di questo nebbiolo.
Grumello 1969 az. Francesco Trippi (Lombardia)
Questo vino ci porta alla memoria uno dei ristoranti (il ristorante Trippi), tappa fissa dei pranzi e delle cene dell’indimenticabile giornalista e scrittore. Le vigne di questo Grumello sono proprio alle spalle del locale, oggi Osteria Slow Food. Al naso resina, nocciole, caffè; al palato forse solo l’immaginazione.
Bellemont Wagen Pinot Nero 1967- Schloss Kehlburg (Trentino-Alto Adige)
L’azienda non esiste più, e noi la ricordiamo respirando ancora una volta i sentori balsamici, gli aghi di pino, il pepe e le spezie ritrovando in bocca un ultimo accenno di freschezza.
E per finire un grande grazie alla mia amica e bravissima giornalista e sommelier Marianna Natale – anche lei una cantastorie – per aver condiviso con me quest’esperienza.